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Intervista ad Arnaud Strina 

Arnaud Strina è tenente del corpo dei vigili del fuoco delle Alpi Marittime, vanta inoltre una formazione in lingue straniere e affari internazionali.
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In quanto esperto, pensa che la crisi legata al coronavirus abbia portato a grossi cambiamenti per quanto riguarda i lavoratori o studenti transfrontalieri?

Penso che, come spesso accade, la crisi sia un rivelatore, mi spiego: non è il fatto che presenta un cambiamento importante, però sottolinea elementi che il quotidiano ci fa dimenticare, per esempio la frontiera. Ci permette pure di vedere debolezze nascoste o ancora elementi che costituiscono la nostra società, i nostri funzionamenti, non necessariamente nascosti ma forse taciti. Quindi cambiamenti da questa crisi sul soggetto “frontiera” no, ma per esempio rivelazione, importanza del soggetto tabacco, il flusso delle domande su gruppo Facebook “tu sais que tu viens de Menton quand…” (per citare solo il principale) si articola su il passaggio per andare a comprare sigarette e alcool. Quelli che lavorano possono passare (esepio dei lavoratori del cantiere navale di Garavan, tutti italiani), quelli che hanno un buon motivo possono passare… questa situazione fa solo sorgere abitudini commerciali.  Ci fa riflettere anche alla presenza della frontiera, alcuni hanno detto che era la fine del modello wesptaliano, che la frontiera non esiste più, che nuovi insiemi amministrativi si sostituiscono a nazioni (ovvero le regioni), che l’integrazione europea fa lavorare, vivere insieme popoli frontalieri… invece io ho sempre pensato il contrario, basta vedere che da una parte all’altra siamo o italiani o francesi, con vestiti, cibi, macchine, francesi o italiani, e non solo per ragioni amministrative, la frontiera rimane un tratto di demarcazione culturale importante (ancora più di altri posti, le zone frontaliere sono un luogo di espressione nazionale). Allora si, la frontiera si cancella fisicamente, ma basta pensare alla storia della zona, con popoli anche di fratellanza alpina (senza parlare dei mutamenti della frontiera) che possono farsi la guerra con costruzione pure antropologica della frontiera e del nemico basata su una linea, un giorno qui un altro giorno altrove. E basta una crisi, qui sanitaria, per fare alzare di nuovo barriere fisiche. “L’esperto” che potrei essere, quello che gestisce i soccorsi, vede esattamente questo fenomeno.   

Come sono stati vissuti dai francesi i provvedimenti che sono stati presi durante le due ondate di virus?

Non ti potrei parlare della reazione dei francesi, non sono sociologo, ti posso parlare della mia, la mia reazione e quella di uno studente che faceva una tesi di dottorato che trattava anche della relazione della popolazione all’informazione scientifica, sono mortificato, deluso della nostra incapacità ad afferrare correttamente la realtà, sono convinto che siamo intrappolati dall’assenza di perspettiva dell’informazione. A volte, ho il sentimento terribile che ci avviciniamo nella profezia del film “idiocratie”. Più placidamente, ti posso rinviare all’antropologia delle catastrofi. La crisi del covid è un episodio di rappresentazione politica che punta alla capacità dello Stato e alla sua legittimità. C’è un “paradigma della sicurezza” in questa situazione, come spiegato dal ricercatore Pietro Clemente, che afferma che per governare nel migliore dei modi possibili, c’è bisogno di un’alleanza tra potere e tecnica (scienza, sapere…), accompagnata dalla rappresentazione di un governo capace di domare la scena sia sociale, sia naturale. 

Cosa pensa succederà una volta usciti dalla crisi causata dal coronavirus?

Ci sarà sicuramente una ricomposizione della società ma non con un “mondo di dopo” come spesso si sente. La società sa piangere i suoi morti in un momento di epifania della catastrofe e di unione nazionale, ma fa dopo suo il concetto del Gattopardismo che si basa su l’affermazione paradossale “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”. Quest’illustrazione del Gattopardo, in riferimento al libro di Tomasi di Lampedusa, trova per me una risonanza nell’evolvere della nostra società. Viviamo le mutazioni come tragedie ma facciamo tutto per conservare gli equilibri. Penso che non sia solo la crisi a farci evolvere, una parte di agente mutagene ce l’ha sicuramente, ma questa crisi è soprattutto un momento in cui sono sorte dinamiche nascoste, sottintese, silenziose. 

La crisi da Covid-19 e la mobilità transfrontaliera
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